mercoledì 20 luglio 2011

I DANNI DI UN CAPITALISMO SENZA REGOLE

Articolo di Stiglitz:

Solo pochi anni fa una potente ideologia, il credo nei mercati liberi e senza regole, portò il mondo a un passo dalla rovina. Anche al suo apice, dai primi anni ’80 fino al 2007, il capitalismo regolato sul modello statunitense ha veicolato un gran benessere materiale solo ai più ricchi delle nazioni più ricche del mondo.

In effetti, nel corso dell’ascendente trentennale di questa ideologia, la gran parte degli Americani ha visto i propri introiti calare o stagnare anno dopo anno.

Inoltre, la crescita produttiva negli Stati Uniti non era economicamente sostenibile. Con tanto reddito nazionale nelle mani di così poche persone, la crescita poteva continuare solo grazie al consumo finanziato da una sfilza sempre maggiore di debiti.

Ero tra le persone piene della speranza che, in qualche modo, la crisi finanziaria avrebbe dato agli americani (e ad altri) una lezione sulla necessità di una maggiore uguaglianza, una regolamentazione più forte e un miglior bilanciamento tra il mercato e il governo.

Purtroppo, non è andata così.

Al contrario, il risorgere dell’economia di destra - pilotata, come sempre, dall’ideologia e dagli interessi individuali -, ha minacciato ancora una volta l’economia globale, o almeno le economie dell’Europa e dell’America, dove queste idee hanno continuato a prosperare.

Negli Stati Uniti questa rinascita delle destre, i cui seguaci evidentemente cercano di abrogare le leggi fondamentali della matematica e dell’economia, sta minacciando di costringere il governo a fare un default sul debito pubblico. Se le autorizzazioni di spesa del Congresso superassero le entrate, ci sarebbe un deficit e quel deficit andrebbe finanziato.

Invece di bilanciare attentamente i benefici di ogni programma di spesa del governo con gli svantaggi dell’innalzamento delle tasse per finanziare gli aspetti positivi, la destra cerca di usare le maniere forti, non consentendo al debito nazionale di aumentare la spesa, costringendole nei limiti delle imposte esistenti.

Tutto questo lascia aperta la questione delle priorità delle spese, e se le spese per pagare gli interessi sul debito pubblico non sono importanti, allora il default è inevitabile. Per di più, tagliare le spese in questo momento, nel mezzo di una crisi causata dall’ideologia del libero mercato, farebbe semplicemente prolungare la flessione.

Un decennio fa, durante il boom economico, gli Stati Uniti avevano un attivo di bilancio così grande che si credeva avesse potuto eliminare il debito nazionale.

Quindi cosa è successo?

Le guerre e i tagli alle imposte insostenibili, una severa recessione e i costi del sistema sanitario in forte aumento – alimentati in parte dall’impegno dell’amministrazione di George W Bush di lasciare carta bianca alle aziende del farmaco per la determinazione dei prezzi, mettendo a repentaglio le finanze governative – hanno rapidamente trasformato un enorme surplus in un deficit record per i periodi di pace.

I rimedi per il deficit degli USA provengono direttamente da questa diagnosi: rimettere l’America al lavoro stimolando l’economia; porre fine alle guerre senza senso; contenere i costi sanitari e militari; e alzare le tasse, almeno sui più abbienti.

Ma la destra non ne vorrà sapere, piuttosto sta spingendo per tagli ancora più consistenti alle tasse per le corporations e i ricchi, abbinati ai tagli alla spesa negli investimenti e nella protezione sociale che mettono il futuro dell’economia statunitense a rischio e che fanno a pezzi quello che ancora rimane del contratto sociale.

Nel frattempo, il settore finanziaria USA sta facendo grosse pressioni per liberarsi dalle regolamentazioni per poter tornare ai vecchi sistemi disastrosamente imprudenti.

Ma la faccenda va un po’ meglio in Europa. Anche se la Grecia e altri paesi sono in crisi, la medicine du jour sono sempre i logorati pacchetti di austerità e le privatizzazioni, che solo renderà le nazioni che li abbracceranno sempre più poveri e vulnerabili. Questa medicina ha fallito nell’Asia Orientale, in America Latina e in qualsiasi altro posto, e fallirà anche questa volta in Europa. In effetti, è già fallito in Irlanda, Lettonia e Grecia.

Esiste un’alternativa: una strategia per la crescita economica supportata dall’Unione Europea e dal FMI. La crescita farebbe ripristinare la fiducia che la Grecia sia in grado di ripagare i suoi debiti, facendo abbassare i tassi d’interesse e lasciando più spazio fiscale per successivi investimenti a favore della crescita.

La crescita incrementa le entrate fiscali e riduce le necessità della spesa pubblica, così come i sussidi per la disoccupazione. E la fiducia che viene generata porta a una crescita ancora maggiore.

Purtroppo, i mercati finanziari e gli economisti di destra considerano il problema dal lato opposto: credono che l’austerità aumenti la fiducia, e di conseguenza la fiducia porterà alla crescita. Ma l’austerità mina la crescita, peggiorando la salute fiscale del governo, o almeno ottenendo meno risultati di quanto promettono i sostenitori dell’austerità. In entrambi i casi, la fiducia viene erosa e viene attivata una spirale regressiva.

Abbiamo ancora bisogno di un altro esperimento costoso basato su idee che hanno fallito a ripetizione? Non dovremmo, ma sembra sempre più probabile che dovremmo farcene carico comunque.

Se l’Europa o gli Stati Uniti fallissero nel raggiungere una crescita robusta, le cose per l’economia globale si metterebbero davvero male. Un insuccesso di entrambe sarebbe disastroso, anche se le più grandi nazioni emergenti realizzassero una crescita per il loro sostentamento.