mercoledì 5 dicembre 2012

Italia, 8,5 milioni di persone in crisi tra precarietà e disoccupazione

Benvenuti nel bel mondo del Capitalismo Reale: sono ormai milioni i cittadini italiani in crisi nera e senza sbocchi, tra disoccupazione (2milioni e 800mila) e precarietà (circa 3 milioni sono i precari in Italia, non più momento di passaggio -come era stato propagandato ai tempi delle leggi Treu e Biagi- ma stigma permanente e insuperabile), a cui si aggiungerebbero, secondo i dati forniti da Unimpresa, 8 milioni e 500mila in gravi difficoltà, alle prese on una situazione che si fa via via più incerta e poco stabile.
Questo il mirabile risultato raggiunto grazie alla flessibilità, alle delocalizzazioni e al liberismo criminale imposto da oligarchie rapaci e predatrici. 
Fonte: http://notiziein.it/2012/12/03/lavoro-tra-disoccupati-e-precari-85-milioni-in-crisi/


martedì 2 ottobre 2012

PER UN SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE GARANTITO A TUTTI!

In Italia ci sono ufficialmente 2,3 milioni di disoccupati (oltre l’11% della popolazione attiva), a cui si aggiungono 300mila lavoratori in cassa integrazione. Tenendo conto degli ‘scoraggiati’ (italiani che ormai non cercano più un impiego, perché pensano di non trovarlo) che escono dal mercato del lavoro la cifra reale di disoccupazione supera il 17%!
Sabato 29 settembre Resistenza Nazionale (http://resistenza-nazionale.blogspot.it/) ha svolto un presidio per chiedere l'introduzione di un sussidio di disoccupazione esteso a tutti i lavoratori italiani che hanno perso il lavoro, sulla scia di quanto avviene negli altri paesi europei, che copra quindi tutti i tipi di lavori e dia certezze a chi si aspetta di essere aiutato se perde il lavoro!
Per sfuggire al ricatto del precariato e della disoccupazione
SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE GARANTITO A TUTTI!


La nuova lotta di classe dei ricchi contro i poveri. Intervista a Luciano Gallino.


La flessibilità aumenta l'occupazione? Tagliare le spese dello Stato aiuta l'economia? La competitività valore assoluto? Tutte bugie. Un saggio di Luciano Gallino illustra le disastrose conseguenze economiche e sociali del neoliberismo, che ha elevato la disuguaglianza a ideale di sviluppo.

colloquio con Luciano Gallino di Matteo Pucciarelli

Il povero ragioniere Ugo Fantozzi, reduce da una delusione amorosa in ufficio, prese in mano le “letture maledette” del compagno Folagra, il rivoluzionario con la barba lunga e la sciarpa rossa emarginato da tutti. Mesi di studio, e all'improvviso, curvo sui libri accatastati in salotto, sbatté il pugno sul tavolo: «Ma allora mi han sempre preso per il culo!». Quasi come una rivelazione divina: Fantozzi aveva capito tutto.

Ecco, la lettura dell'ultimo lavoro di Luciano Gallino "La lotta di classe dopo la lotta di classe" (intervista a cura di Paola Borgna, editori Laterza) può sortire lo stesso effetto. Anche in un pubblico colto, sobrio e moderatamente di sinistra. Perché smonta uno a uno i dogmi dell'idea, anzi dell'ideologia moderna liberista, così trasversale, così apparentemente intangibile, come se non ci fossero altri schemi possibili all'infuori. E Gallino lo fa mettendo in fila dati, studi, e non opinioni. Senza facili populismi, senza scorciatoie preconfezionate. Spiegando che la lotta di classe esiste, eccome. Solo che si è ribaltata: è il turbo capitalismo che ha ingranato la quarta contro le conquiste dei movimenti operai ottenute fino agli anni ’70. E i lavoratori sono sempre più divisi al loro interno, impegnati in un’altra lotta, quella tra poveri.

Un testo imprescindibile per capire dove stiamo andando, e seguendo quali (folli) logiche. Un testo che a sinistra dovrebbe – o potrebbe, chissà – diventare una sorta di bibbia laica.

Era un'ottima occasione per parlarne direttamente col professore e sociologo piemontese.

Partendo dal tema del momento: dopo aver letto il libro sembra di capire che l'attacco all'articolo 18, ma anche semplici frasi come quella di Monti «le aziende non assumono perché non possono licenziare», siano in realtà parte di un disegno ben preciso: quella lotta di classe alla rovescia di cui parla nel libro. È così?

«Direi di sì. Si tratta di idee che circolano da decenni, che fanno parte della controffensiva iniziata a fine anni ’70 per superare le conquiste che i lavoratori avevano ottenuto a caro prezzo dalla fine della guerra. Riproposte oggi sembrano sempre più idee ricevute, piuttosto che analisi attinenti alla realtà. Dottrine neoliberiste imposte adesso con la forza, combattendo i sindacati, comprimendo i salari e tagliando le spese sociali».

Lei scrive: «La correlazione tra la flessibilità del lavoro – che tradotto significa libertà di licenziamento e insieme uso esteso di contratti di breve durata – e la creazione di posti di lavoro non è mai stata provata, se si guarda all’evidenza accumulatasi con i dati disponibili». Qui da mesi e mesi alla tv ci riempiono la testa col “modello danese”, poi quello tedesco... Ci fu la riforma Treu nel '96, poi quella Biagi, e ancora non sembra bastare. Allora forse la Cgil non dovrebbe firmare la riforma, anche se la clausola del reintegro venisse reintrodotta, perché è tutto l'impianto ad essere sbagliato...

«La Cgil è in una situazione molto difficile. Anche perché gran parte degli altri sindacati e dei media sono favorevoli a questa visione neoliberale. L’Ocse non è mai riuscita a provare l’esistenza di una correlazione tra flessibilità e maggiori posti di lavoro, e in alcune sue pubblicazioni arriva perfino ad ammetterlo. E anzi, c’è un aspetto paradossale: usando gli stessi indici dell’Ocse, si scopre che ad aumentare dovrebbe essere la rigidità, semmai. Perché dopo la riforma del 2003, che ha aumentato la cosiddetta flessibilità in Italia e che la rende superiore ad altri paesi come Francia, Germania e Inghilterra, i nostri indici occupazionali sono peggiorati».

La sinistra sembra giocare sempre in difesa. Passa per conservatrice. Che poi in effetti è vero, perché difende diritti acquisiti. Eppure il messaggio non passa, e se passa lo fa negativamente. “La vecchia sinistra, anti-moderna”. Il progresso sembra appannaggio di chi professa lo smantellamento del modello sociale. C'è un problema di comunicazione? Perché la sinistra ha così tante difficoltà a farsi capire da chi dovrebbe difendere?

«C’è un problema non grosso come una casa, ma come un grattacielo. Se a sinistra non c’è un partito di grande dimensioni che non difende il “Lavoro” significa che siamo davvero malmessi e che l’impresa diventa ancor più ardua. E poi la sinistra ha contro la maggior parte dei media e della classe politica, anche quella della “sinistra” stessa. Perché sono state introiettate quelle dottrine neoliberiste di cui prima. La lotta ideologica contro i sindacati per adesso ha vinto, culturalmente in primis. Basta vedere il calo degli iscritti al sindacato nei Paesi sviluppati. E questo ha inciso anche sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica».

Verrebbe da dire che la fine delle ideologie è una grande bugia. Perché una è sicuramente rimasta, viva e vegeta....

«La fine delle ideologia è una delle più robuste e articolate ideologie in circolazione. È servita ad assicurare il dominio delle politiche economiche neoliberali, e anche la legittimazione di quelle politiche sul piano culturale e ideale. Gli slogan gli conosciamo bene: “ridurre la spesa pubblica”, “tagliare le imposte alle imprese e agli individui”, “occorre più flessibilità”, “meglio il lavoro temporaneo”, “il mercato deve guidare ogni immaginabile decisione, anche a livello locale”. Tutto questo ha avuto la meglio, anche nella cultura di una parte della sinistra. Conta poco che queste ricette siano sistematicamente sconfessate dalla realtà»

È interessante come il modello neoliberista abbia copiato da Gramsci la propria tendenza egemonica culturale. Lei lo ripete spesso. E poi spiega, e lo ha detto anche prima, come un pezzo di sinistra ne sia stata sedotta. Aggiungerei che alla sinistra hanno copiato anche l'internazionalismo, cioè la capacità di fare "gioco di squadra" a livello planetario. Come si fa a invertire la tendenza? Come si fa a imporre nuovamente una visione alternativa della società?

«È estremamente difficile. L’egemonia attuale è vincente sia sul piano della pratica, come lo vediamo ogni giorno, sia sul piano morale e culturale. L’austerità sta tagliando l’insieme delle condizioni di vita di milioni di persone, seminando recessione. E qui nasce un altro pericolo, cioè che politiche di questo genere fomentino l’estrema destra che urla contro la finanza, ma in modo assolutamente strumentale».

Il primo a parlare di “austerità” fu Enrico Berlinguer. Qualcuno, sempre a sinistra, ha ritirato fuori la cosa.

«Sì, ma erano altri tempi, altre situazioni, e quella parola usata dal segretario del Pci voleva dire un’altra cosa. Ora significa tagliare salari, posti di lavoro, spesa sociale e diritti. Allora era una critica al consumo. La crisi è nata anche per delle storture del modello produttivo. Non si può pensare di continuare a produrre sempre di più, all’infinito. Il progresso non consiste nell’avere cinque telefoni e tre automobili a famiglia, ma ha a che vedere con la qualità della vita, del tempo libero, del lavoro…»

Negli anni Settanta i giovani gridavano lo slogan "Lavorare meno, lavorare tutti". A un certo punto lei parla dei sindacati, e fa una critica a livello non solo europeo, ma mondiale: «Non si è sentito nessun sindacato, o gruppo di sindacati, europeo o americano, alzare la voce per dire che era inaudito che il salario orario minimo in Cina fosse di 75 centesimi di dollaro; e che è scandaloso che aziende europee e americane protestino perché quell’innalzamento da 65 a 75 centesimi non permette più loro di operare con profitto...». È sicuramente vero. Ma perché accade? Si è persa la solidarietà di classe? L'egoismo, l'interesse particolare, ha contagiato anche il sindacato? È questa l'ennesima vittoria del pensiero dominante?

«I sindacati hanno delle giustificazioni. La frammentazione delle attività produttive ha complicato l’attività sindacale. Un conto è avere un megafono per parlare a cinquemila operai tutti insieme, un conto è andarli a cercare in cinquanta fabbriche diverse con cento operai ciascuno. Però sì, a livello internazionale si è fatto poco. La necessità, adesso, è esportare diritti».

Il governo tecnico, anzi i governi tecnici in Europa, sono in realtà governi di destra. Lo chiarisce molto bene. Com'è possibile che il Pd lo sostenga e ne subisca il fascino anche per il futuro? Sembra un cerchio che si chiude. La dimostrazione che la sua analisi sul pensiero dominante è corretta.

«Concorrono diversi fattori. Un po’ perché la dottrina neoliberale, come dicevamo, ha fatto presa anche a sinistra. Poi c’è il timore di apparire agganciati a una storia di “vecchie ideologie”. C’è una questione di competenza: si è capito ben poco di perché è nata la crisi, sul come si è sviluppata, per colpa di chi o di cosa. E infine c’è un fattore di convenienza: l’Italia è in Europa, e in Europa si gioca con le regole del liberismo. Così qualcuno avrà pensato di far mettere la faccia ai “tecnici” rispetto alla richieste dolorose che Bruxelles richiedeva. Diciamo che può essere stato un grigio calcolo elettorale».

Lei cosa ne pensa dei No Debito? È possibile rifiutarsi di pagare?

«Il movimento non tiene conto dell’esistenza della Bce, che però non opera come una normale banca centrale: non può concedere prestiti, magari a basso tasso di interesse, agli stati membri o ad altre istituzioni. Questo perché il trattato di Maastricht lo proibisce. Abbiamo rinunciato alla sovranità monetaria entrando nella Ue, e quindi ci ritroviamo con una moneta straniera. Ecco, visto questo, non pagare il debito è impossibile. L’istanza è però moralmente valida, specie se si pensa alla dissennatezza del sistema finanziario, al fatto che i Paesi hanno speso 4,1 trilioni di euro per salvare le banche aumentando il proprio debito. Ma bisognerebbe chiedere subito una riforma del sistema finanziario. Sono stati fulminei a fare la riforma delle pensioni, a imporre diktat da occupazione militare alla Grecia, eppure da anni giace in un cassetto da anni una riforma di questo tipo. Per la quale dovremmo davvero batterci».

L’analisi del suo libro potrebbe diventare fondamentale per ridare fiato alla sinistra. Ho letto il "Manifesto per un soggetto politico nuovo", e mi sembra che il gruppo di intellettuali che l'ha redatto e firmato, tra cui lei, vada in quella direzione. Che reazioni ha avuto da parte dei partiti d’area?

«Ho l’impressione che siamo intorno a zero. Ma vorrei dire che non si tratta di buttare via i partiti, quanto di rinnovarli, saldando il ponte tra movimenti e organizzazioni politiche. Se i movimenti continuano a vedere i partiti come vecchie carrozze, e se i partiti vedono i movimenti come allegri ma inutili catalizzatori per le manifestazioni, il futuro non sarà certamente roseo».

Chiudo con una battuta. In chiusura lei scrive: «Con la caduta del socialismo reale è stato seppellito anche quel frammento di verità essenziale su cui era stata malaccortamente e colpevolmente innalzata la torreggiante megamacchina sociale che pretendeva di rappresentarlo. Quel frammento, che dopotutto sta alla base del movimento operaio da quando è cominciato, fin dall’inizio dell’Ottocento, era la ragione stessa della storia, o meglio la ragione che conferisce un senso alla storia. Era giusto che la torre cadesse, ma, cadendo, la torre ha sepolto tra le sue macerie anche quell’ultimo frammento che rappresentava la speranza di un rinnovamento della società intera. E questa è stata una perdita enorme».

Lo sa che le daranno dello stalinista? «È possibile e la cosa mi diverte anche. Perché cito dati ufficiali, molto spesso, del Congresso americano. Tutto questa significa che tra la realtà oggettiva delle cose e l’interpretazione che se ne dà c’è una distanza siderale. E ciò non depone certo a favore della maturità politica della nostra classe dirigente».

(4 aprile 2012)
Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-nuova-lotta-di-classe-dei-ricchi-contro-i-poveri-intervista-a-luciano-gallino/

mercoledì 19 settembre 2012

'I poveri sono parassiti': il vero volto dei capitalisti globali!

Il disprezzo dei capitalisti verso chi sta in basso è visibile chiaramente nelle parole del candidato republicano USA Romney: il 47% degli americani, quelli poveri, sono parassiti della società!
Di questi 'fannulloni', Romney (che ha fatto licenziamenti di massa e grossi trasferimenti di attivita' all'estero) dice: "Non è mio compito preoccuparmi di loro".


sabato 1 settembre 2012

Un recente sondaggio: il capitalismo non piace più!


Il mondo avverte la crisi, e nei paesi ricchi il capitalismo non se la passa bene. La fiducia nel libero mercato è diminuita negli stati più colpiti dalla recessione, mentre nei paesi emergenti c’è molto più ottimismo. Questo, almeno, secondo il risultato di un sondaggio.

CRISI GLOBALE - L’istituto demoscopico Pew Research Center, uno dei principali centri di ricerca degli Usa nel settore, ha svolto un’indagine sull’attitudine globale verso l’economia ai tempi della crisi in ventuno paesi, tra i quali anche l’Italia. In undici tra questi, le aspettative sul futuro economico sono sensibilmente peggiorate dal 2008, l’epoca dell’inizio della crisi. Solo in quattro nazioni – unica europea la Germania – viene dato un giudizio positivo sull’attuale situazione, mentre i cinesi sono i cittadini globali più ottimisti. La recessione globale, iniziata col crack di Lehman Brothers, conclusasi senza una vera ripresa per poi ritornare col precipitare della crisi dei debiti sovrani europei, ha lasciato dunque molte tracce nelle aspettative e nella valutazioni complessive delle persone. Prevale un senso di pessimismo, molto distante dall’ottimismo degli anni della crescita a ritmo di finanza e bolla immobiliare. C’è però maggior fiducia quando si parla della propria situazione personale, rispetto alla condizione complessiva del proprio paese. Sulle cause della crisi i cittadini del mondo si mostrano particolarmente arrabbiati verso i loro governi nei paesi in maggiore difficoltà , mentre anche le banche e le istituzioni finanziarie sono ritenuti tra i principali colpevoli della difficoltà che il mondo sta subendo ormai da alcuni anni.

CAPITALISMO NON PIACE - La crisi economica globale ha eroso il supporto del capitalismo. In undici delle ventuno nazioni nei quali è stato condotto il sondaggio di Pew, meno della metà degli intervistati concorda con la proposizione secondo la quale le persone vivono meglio in un’economia basata sul libero mercato, anche se ci sono differenze sociali tra ricchi e poveri. E un simile appoggio, sottolinea Pew, è calato nettamente nei novi paesi nei quali è possibile fare un confronto con i dati del 2007, quando sono comparsi i primi sintomi della grande recessione globale, la Lesser Depression come è stata definita da Paul Krugman. Una disillusione nei confronti del libero mercato che è particolarmente acuta in Italia, dove è crollata di ventitre punti, in Spagna, con un calo di venti punti, e Polonia, dove la diminuzione è stati pari a quindici punti. I paesi dove è maggiore la sfiducia nei confronti del capitalismo sono Messico e Giappone, un dato legato alla stagnazione economica che ha colpito la società nipponica ormai da molti anni. Solo il 38% esprime sostegno ad una società basata sul libero mercato. Nonostante la crisi, negli Stati Uniti si registra invece ancora una forte condivisione verso il capitalismo e il libero mercato, anche se leggermente in calo rispetto all’inizio della crisi. Ancora più entusiasmo verso questo modello si riscontra in Brasile, dove ben il 74% degli intervistati esprime un’opinione favorevole al capitalismo, e in Cina, dove questa percentuale è inferiore di un solo punto.

ITALIA A FONDO - I dati pubblicati da Pew Research Center tratteggiano un quadro di grande pessimismo e sfiducia nel nostro paese. Solo il 22% degli italiani pensa che la situazione potrà migliorare nei prossimi dodici mesi, una sensazione di disillusione che fa il paio con la tragica situazione di fiducia che si respira. Solo il 6% dei cittadini del nostro paese danno un giudizio positivo sull’attuale situazione, e il principale responsabile della crisi per gli italiani è lo Stato, il governo o piuttosto i governi che hanno guidato il paese negli scorsi anni. L’84% dei cittadini del nostro paese ritiene che vada incolpato chi ha governato l’Italia, mentre le banche sono al secondo posto con il 58%. La Ue, nonostante l’eurocrisi, è ritenuta responsabile da un piuttosto contenuto 15%, mentre “noi stessi” ottiene maggiori assensi, sfiorando il 20%. Il cupo pessimismo si riflette nella valutazione sulla strada verso la quale è indirizzata l’Italia, ritenuta quella giusta solo dall’11% degli italiani. La fiducia nel libero mercato è crollata, visto che se nell’autunno del 2009 il 75% dei cittadini del nostro paese condivideva la frase che una società basata sul capitalismo sia la migliore nella quale vivere, ora questo giudizio è sostenuto solo da metà della popolazione. Il 41% degli italiani ritiene però che la situazione personale sia positiva, un netto contrasto rispetto al 6% che dà questa opinione sul proprio paese.

SFIDUCIA OCCIDENTALE - Meno di un terzo degli americani, il 31%, ritiene che l’economia statunitense stia andando bene. Una valutazione negativa cresciuta di tredici punti rispetto al 2011, e di ben diciannove rispetto al 2007, quando iniziò la crisi dei mutui subprime. In Europa però la valutazione è molto peggiore, tanto da far sembrare ottimisti anche i cupi americani. Il valore medio dei cittadini europei sondati da Pew Center indica che solo il 16% ritiene positiva l’attuale situazione. Anche se è un’ovvietà, la sfiducia dei cittadini dei paesi più in crisi è veramente molto elevata. In Spagna ed Italia solo il sei per cento dà un’opinione positiva della propria economia, ed in Grecia invece questa percentuale crolla al due, al di sotto del margine di errore statistico. Questo può significare che nell’intervallo di probabilità del sondaggio ci può essere un valore inferiore anche all’1%. In Germania la situazione è opposta, e ben il 73% dei tedeschi esprime un’opinione positiva sulla propria economia. In Giappone, invece, si registra una situazione da crisi da debito sovrano, nonostante il fatto che i bond nipponici siano più convenienti dei bund tedeschi, l’esatto opposto dei titoli di stato dei paesi europei che vivono il terrore dello spread. Solo il 7% dei giapponesi dà un giudizio positivo dell’economia nipponica. Nel Sol Levante, così come in Gran Bretagna, Pew ha registrato la differenza maggiore tra valutazione complessiva e quella personale, dove si registrano opinioni decisamente più positive.

domenica 19 agosto 2012

Ennesima vittima della precarietà!

Ha un epilogo drammatico la vicenda di Angelo Di Carlo, romano di 54 anni. Non ce l'ha fatta ed è morto per le conseguenze delle gravi ustioni sull''85% cento del corpo: l'11 agosto si era dato fuoco in piazza Montecitorio, davanti alla Camera dei Deputati dove aveva inscenato la dura forma di protesta perchè da anni lottava contro la precarietà e la disoccupazione.
L'ennesima vittima della precarietà che sta facendo sentire sempre di più suoi effetti drammatici sulle persone più deboli, abbandonate a se stesse di fronte ad un futuro che si fa ogni giorno sempre più duro ed incerto. Una precarietà dilagante che viene denunciata a più voci, spesso superficialmente e in modo strumentale, che non viene presa assolutamente in considerazione dalla politica, che se ne frega dei deboli e degli esclusi (cifre crescenti della popolazione italiana), troppo presa ad assecondare i voleri e gli interessi di ristrette oligarchie liberiste. Angelo, R.I.P!

martedì 10 luglio 2012

Intervista ad alcuni attivisti autonomi olandesi della Nationale Socialistische Actie


We all see that the 'crisis’ is just getting worse and worse. This isn’t just an ordinary recession: this is the true face of REAL CAPITALISM! The nationalrevolutionaries can play a useful role in organising anti-capitalist activities in this moment. With the ACN/AKN we have recently seen an important evolution that can be registered in the rising appeal and relative rejuvenation of anti-capitalist politics and perspectives in the NR anti-globalization movements.

• How did the idea for an European Anti-capitalist Network come up?

The idea of an anti-capitalist network was born on 3 December 2011 after a political meeting in Milan. Several autonomous activists from the Netherlands, Germany and of course Italy came together to discuss about the main problem and main enemy of our ideology: World capitalism. We all did agree that this kind of capitalism (international capitalism) can't be beaten on a national level, so the decision was made to form an international network to support, and help, every revolutionary activist in every part of the world, starting on an European basis. 

• What are the basic principles on which you organize as such?

We try to avoid terms like “organizing”, because we see our collective (the NSA) as a actionplatform where every individual person can participate in. Everybody can use this name, if it is at least within the ideological framework of the majority of the collective. We don't have members or leaders, therefore we are 'autonomous', because we think no person is 'better' then another, everyone has something to bring in, because people can think for themselves - we are all free (in the sense of 'independent') political activists.

• Organizational questions are always political questions: is the organising from below, in Autonomy, the right way today to move forward new concepts more adapted to today’s situation? And what do you think about Autonomous Nationalist (AN) movements?


We see autonomy as THE way to bring every nation into a socialist revolution. Indeed autonomy is the mobilizing, again we want to avoid the word 'organizing', of the masses from below, the working class, the true productive elements within a nation. But we don't see autonomy only as a leaderless concept for street activism against the system, but also as a form of politics and economy. Our goal is a decentralized political society based on workerscouncils (soviets), a true democracy (for the workers!). Also we want the decentralized economy of workers councils within factories, etc. As for the autonomous socialist revolution, we believe that the masses must become aware of the revolutionary idea of destroying capitalism and their State. We believe that the masses can and must do this on their own, without a leader or leaders, party or group to lead them - no political program can help a revolution because that party will be then at some point more important than the will of the working masses (bureaucracy). So yes, a autonomous revolution must every time be refreshing and contain new concepts because politics and economy always are changing, and our thinking, our action methods etc. must change with it as well.

As for the Autonomous movements we of course think that this could be the way forward (= towards revolution). We still see that some AN-movements in certain European countries don't distance themselves fully from several reactionary elements or still don't understand what 'autonomy' really means. Our main points of criticism are: 1) A total lack of a believable and valid analysis of capitalism and 2) A total lack of understanding of the importance of class struggle (many don't want to see that ONLY working class can successfully fulfill the national liberation. The (national) bourgeoisie has sold itself out to US-led international finance capitalism (in the period after 1945). We want to use class struggle as a catalyst for the suppressed and exploited masses towards revolution.

• Why did you choose the network form for this Europe-wide Anti-capitalist collective?


Because of the reasons already given to build a anti-capitalist network.

• ACN/AKN is supposed to be a point of departure for future developments. What are you going to do to make this happen?


We are trying to build a stronger movement by supporting and participation in every action in every European country within the context of  a radical workers autonomous movement. We will do so with extensions of ideology knowledge, discussion about the actual political situation in the world, making propaganda and many more. We think ACN/ANK-network has the possibility to become a platform for unity of action between the revolutionary truly anti-capitalist section of the 'far right' and the truly revolutionary anti-capitalist sections of the 'far left', for example what Franco Freda did and worked for in the past and the cooperation of both radical 'left' and 'right' movements in Italy during the 70's and 80's.

• What is the situation of the Anti-capitalist Resistance in the Netherlands today?


Within the national movement here in the Netherlands no such thing as a truly anti-capitalist idea exists. Many within the movement say they are anti-capitalist but they don't possess a good analysis of what capitalism really means. So practically the only true socialist alternative is represented by the NSA and comrades of the 'Vrije Nationalisten” (Free Nationalists aka Network of Nationalist Socialists). 

• In the framework of the present movement, have you established ongoing relations with other nationalist movements in your country? And if so, of what kind?


We have cut off ties with all reactionary parts of our (national) movement. Although we sometimes meet them on demonstrations somewhere in the Netherlands, it is nothing more then marching separately for some political objectives we have in common. It is not a cooperation.

• Organising International Solidarity is important as a way of pushing the struggle forward across Europe. So what would you say are the main forms of solidarity that would be most helpful?

Political education and direct actions, that are our main priorities. Only testing our theory into praxis will shape the ultimate solidarity. Action speaks louder than words! Good examples of practical international solidarity were in our opinion the European anti-capitalist mass-demonstrations/rallies in Frankfurt/Main (Germany) organized by the March 31 actiongroups (anarcho-syndicalists) and the Blockupy movement.

• Do you have any final thoughts?


Be a socialist, stay loyal to your class and nation, be a true comrade and real political soldier, keep up the struggle against State and Capitalism and do always think for yourself. (That's the main principle of autonomy!) Do not let others think for you and in stead of you. Rely only on your own force and do not trust any of the selfappointed so called “leaders” (especially not the ones within the so called “national movement”!). If we want to achieve our goals, then we can only rely on ourselves (our own strength) and on worker's solidarity! That are the things we want to say to our readers. Greeting to all comrades and thanks to the comrades of the autonomous resistance in Italy for this interview.

Anti-capitalist/socialist greetings, NSA Netherlands

mercoledì 30 maggio 2012

13 MAGGIO 2012: CONTRO IL MONDIALISMO!

Parigi, domenica 13 maggio, manifestazione nazionalista unitaria contro il Mondialismo. Attivisti europei del Network Anticapitalista (ACN/AKN) presenti, all'interno del blocco dei Nationalistes Autonomes francesi.






Contro le oligarchie globali, tutti uniti contro il Mondialismo!
Tegen de mondiale elites, allen verenigd tegen het globalisme!
Contre les élites mondiales, tous unis contre le mondialisme!
Against the global elites, all united against globalism!
Ενάντια στην παγκόσμια ελίτ, όλοι ενωμένοι κατά της παγκοσμιοποίησης!
Contra as elites globais, todos unidos contra a globalização!
SMASH CAPITALISM!

mercoledì 11 aprile 2012

M31 - giornata europea di azione contro il capitalismo

Sabato 31 marzo attivisti nazionali e simpatizzanti del Network Anticapitalista hanno supportato l'iniziativa denominata "M31 - giornata europea di azione contro il capitalismo" per mostrare la propria totale opposizione nei confronti dell'offensiva neoliberista e turbocapitalista che sta colpendo duramente l'Italia e le nazioni europee, contribuendo a creare più povertà, più precarietà, più disoccupazione, maggiori diseguaglianze e annichilendo pesantemente i Diritti dei cittadini e lavoratori. Azioni di protesta si sono svolte in diverse città italiane ed europee!

mercoledì 28 marzo 2012

I ricchi sono differenti: diventano sempre più ricchi!

Articolo apparso sul Washington Post conferma la continua concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi!
The rich are different; they get richer!
Occupy Wall Street is not known for the precision of its economic analysis, but new research on income distribution in the United States shows that the group’s sloganeering provides a stunningly accurate picture of the economy. In 2010, according to a study published this month by University of California economist Emmanuel Saez, 93 percent of income growth went to the wealthiest 1 percent of American households, while everyone else divvied up the 7 percent that was left over. Put another way: The most fundamental characteristic of the U.S. economy today is the divide between the 1 percent and the 99 percent.It was not ever thus. In the recovery that followed the downturn of the early 1990s, the wealthiest 1 percent captured 45 percent of the nation’s income growth. In the recovery that followed the dot-com bust 10 years ago, Saez noted, 65 percent of the income growth went to the top 1 percent. This time around, it’s reached 93 percent — a level so high it shakes the foundations of the entire American project.
The consequences of this concentration of wealth and income extend beyond the purely economic. A middle class enduring prolonged stagnation isn’t likely to fund projects the nation needs to undertake — such as rebuilding our infrastructure or increasing teacher pay — or, ultimately, to retain its faith in the efficacy of democracy. The rise of super PACs, the low rates of taxation on capital gains and hedge fund operators, the ability of the major banks to fend off reform — all testify to the power of a neo-plutocracy beyond democratic control.

venerdì 16 marzo 2012

Soldi italiani finanziano all'estero imitazioni del Made in Italy

Esprimiamo la nostra più totale solidarietà ai manifestanti della Coldiretti, delle associazioni dei consumatori e degli ambientalisti, insieme ai cittadini e ai rappresentanti delle Istituzioni a livello nazionale, regionale e locale che hanno ieri dimostrato a Roma contro l'ennesima VERGOGNA di questo governo e del parlamento: il mancato divieto per legge del finanziamento di prodotti realizzati all’estero che imitano il vero Made in Italy!
Sembra assurdo, ma è così: il marchio Italia, i prodotti locali italiani, fanno parte del principale patrimonio del Paese che non viene adeguatamente tutelato e rispettato ed è invece spesso banalizzato, usurpato, contraffatto e sfruttato, come dimostra il caso emblematico del falso Made in Italy di Stato rappresentato dal “Pecorino” prodotto completamente in Romania con i soldi dello Stato italiano, ossia di tutti noi!
L'ennesimo esempio del modo in cui lo Stato favorisce la delocalizzazione e fa concorrenza agli italiani sfruttando il valore evocativo del Made in Italy, un caso eclatante di spreco di risorse pubbliche a danno degli italiani e della comunità nazionale!
Come dire: soldi italiani per far produrre contraffazioni del Made in Italy e a noi restano i disoccupati! Criminale!
Diversi gli striscioni, come «Stop al falso pecorino di Stato», «Con i nostri soldi lavoro in Romania e disoccupati in Italia», «Paghiamo l’Imu per favorire il falso Made in Italy».

lunedì 12 marzo 2012

lunedì 20 febbraio 2012

Fermare la globalizzazione!

Sabato 11 febbraio attivisti dell’ACN/AKN e autonomi di Resistenza Nazionale hanno effettuato un presidio contro la globalizzazione, i cui effetti sono causa della massiccio impoverimento della nostra Nazione e di fasce crescenti della sua popolazione.


La globalizzazione portata avanti da decenni dalle oligarchie apolidi internazionali sta presentando un conto economico decisamente elevato alle nazioni europee. L’impatto sociale ed economico è stato feroce: delocalizzazioni, chiusure di impianti industriali grandi, medi e piccoli, stagnazione nei salari, precarizzazione (mascherata da ‘flessibilità moderna’) massiccia di fette non indifferenti di popolazione, assenza di prospettive, crescenti diseguaglianze, emarginazione violenta di tutte le persone non più utili all’ingranaggio di sfruttamento e competizione esasperata e annichilente sono ormai caratteristiche stabili della nostra società. Gli unici vincitori sono e rimangono ristrette oligarchie economico-finanziarie, assieme ai loro lacchè locali, politicanti e élites che aiutano a promuovere un’ideologia criminale che ha nel profitto di pochi la sua unica ragion d’essere.



Inutile dire che eravamo stati avvertiti di quanto stesse accadendo e dei deleteri effetti di tali processi: la globalizzazione turbocapitalista è il peggior nemico di tutte le nazioni europee e dei suoi cittadini e le prospettive non fanno presagire nulla di buono per gli anni a venire, se non la continua estensione (e radicalizzazione) di tutto ciò: la globalizzazione sta devastando il presente e il futuro di tutti noi!

venerdì 13 gennaio 2012

Network anticapitalista - ACN/AKN

Data la totale condivisione dei 5 punti, in cui ci riconosciamo pienamente, la crew di Stop Capitalismo ha deciso di supportare il network ACN/AKN.