martedì 27 luglio 2010

Omsa delocalizza in Serbia

Lo stabilimento OMSA di Faenza, in provincia di Ravenna, sta per essere chiuso.
Ma non per fallimento dell’azienda, che anzi è una società di profitti, ha la leadership di mercato, una proprietà familiare e solida, ma perché la Golden Lady Company (sul loro sito sta scritto: “Attualmente Golden Lady Company è fra le aziende leader del settore a livello mondiale, in continua espansione e con un fatturato in crescita”...), il gruppo proprietario del prestigioso marchio calzaturiero, ha deciso di spostare lo stabilimento in Serbia, dove gli operai costano poco. Le 350 dipendenti perderanno il lavoro, con prospettive di reinserimento quasi nulle. Mentre le autorità hanno fatto poco o niente per incentivare il titolare a rimanere in Italia (ma c’era da aspettarsi un comportamento differente, visto il filo-liberismo totale di TUTTI i partiti politici presenti in Parlamento?), le lavoratrici presidiano la fabbrica, da notti e giorni, nel disperato tentativo di bloccare il trasferimento dei macchinari.
Tagliare i costi, tagliare, tagliare per fare più profitti, ecco la realtà del turbocapitalismo mondialista!
Quando si daranno una sveglia i politicanti strapagati? Quando capiranno che è tempo di introdurre pesantissimi dazi doganali per bloccare il dumping globale, riportare le produzioni in Italia e ridare lavoro a milioni di italiani? E quando i cittadini cominceranno a capire che il liberismo capitalista e mondialista porta guadagni e profitti solo alle oligarchie e per il resto della popolazione c'è solo povertà, disoccupazione e sfruttamento?

mercoledì 21 luglio 2010

LE NUOVE CATENE: FLESSIBILITÀ, PRECARIETÀ, SFRUTTAMENTO

Dalla Legge Treu in poi ((LN 196/97, c.d. “Pacchetto Treu”, governo Prodi, quindi sinistra), per i lavoratori la situazione è peggiorata fino ad arrivare ad assumere oggi le sembianze di una semi-schivitù.
I numeri parlano chiaro: se gran parte degli ingressi al lavoro si svolgono ormai con modalità precarie, succede sempre più spesso che la precarietà diventi una condizione nella quale si rimane intrappolati per anni (se non per sempre, come sta cominciando a verificarsi per molti). L’ultima indagine Ires (Rapporto maggio 2010) sul lavoro precario dà una stima dei soggetti interessati dalla instabilità occupazionale pari, nel 2008, a 3 milioni e mezzo circa di persone, di cui poco più di 1 milione e 800 mila donne (52%) e quasi 2 milioni di giovani e giovani-adulti fino a 34 anni d’età (56%).
La precarietà del lavoro diventa non più una caratteristica marginale e provvisoria, un connotato episodico o relegato alle fasce più giovani dei lavoratori, ma stigma PERMANENTE del nuovo capitalismo, della società del futuro, riversandosi inoltre non più solo in ambito lavorativo/economico, ma pure sociale, esistenziale, psicologico.
Di fatto la precarietà è una delle cause primarie delle ingiustizie sociali crescenti, dell’emergere anche in Europa di una società a caste, ormai saldamente basata su diseguaglianze estreme e sempre meno colmabili, in cui un certo numero di persone (i garantiti, gli intoccabili, gli amici-degli-amici) hanno tutti i diritti e grandi prospettive, mentre una fetta crescente di persone di tutte le età vengono gettate in un limbo fatto di ansia permanente, disorientamento, angoscia e disperazione inflessibile.
Di tutte le età?
Si, di tutte le età! Per riuscire a comprendere con chiarezza l’estrema pericolosità del fenomeno ‘precarietà’ (o ‘flessibilità’, come preferiscono dire nella neolingua liberista, che attraverso un uso deliberatamente distorto e improprio dei vocaboli in questione, genera confusione e malintesi, che contribuiscono all'interiorizzazione delle norme neoliberiste vessatorie e schiaviste da parte dei cittadini e dei lavoratori, determinandone in tal modo la passività per fare accettare tutte le ingiustizie e le prevaricazioni. Come in ‘1984’ di Orwell…) bisogna superare gli stereotipi diffusi dalla propaganda capitalista (che così cerca di alleggerire la dura concretezza del pericolo derivante PER TUTTI dal precariato): non sono solo i giovani e giovanissimi ad essere immersi nella palude della precarietà, della sotto-occupazione e della disoccupazione, ma pure numeri sempre più consistenti di 40-50enni che perdono il lavoro e, grazie ad una società in cui impera una sottocultura di stampo americanoide fatta di giovanilismo idiota e individualismo infantile e capriccioso, vengono di fatto scartati, emarginati, esclusi, rottamati! Restando però sempre tutti ‘a servizio del capitale’, pronti a tutto per riuscire a svolgere qualche misero lavoretto sottopagato, incapaci di resistere allo stato delle cose, al caporalato legalizzato di quello schifo che sono le agenzie di lavoro interinale, alla violenza di un sistema basato sullo sfruttamento e sul profitto di pochi.
Nel 2003 un giornalista americano, Bob Herbert, aveva pubblicato sul New York Times (qui rintracciabile l’originale:
http://www.nytimes.com/2003/02/06/opinion/06HERB.html ) un articolo in cui mostrava i risultati di un indagine svolta un campione di giovani disoccupati di Chicago: nessuno degli intervistati sperava di trovare lavoro nei prossimi anni, nessuno di loro si aspettava di potersi ribellare o di poter avviare un grande Cambiamento collettivo. Il senso generale delle interviste era un sentimento di impotenza profonda. La percezione del declino non appariva focalizzata sulla politica (come sarebbe giusto, visto che è la politica che dovrebbe controllare l’economia), ma su cause più profonde, sullo scenario di un'involuzione psichica e sociale che sembra cancellare ogni possibilità di costruire alternativa.
è riuscita a modellare un sistema economico-giuridico che comprime e azzera sempre più i diritti dei lavoratori.
Insomma, flessibili e passivi, come schiavi. Ecco il risultato di anni e anni di egemonia del pensiero economico neoliberista, ideologia nefasta (pienamente assorbita anche dai partiti ‘di sinistra’, che anzi ne divengono spesso i più zelanti e feroci esecutori) e radice dei molti mali che affliggono ormai quasi tutto il mondo. Ah, la sublime bellezza della globalizzazione, del Turbocapitalismo e della competizione!

giovedì 15 luglio 2010

La BCE consiglia: più precarietà per tutti!

Il bollettino mensile della Banca Centrale Europea (Bce) ha reso noto che nell'area euro la disoccupazione dall'attuale 10%, "continuera' a scendere nel 2010" e che “esiste il rischio che la creazione di posti di lavoro sia insufficiente a ridurre la disoccupazione per un periodo di tempo significativo, se la moderazione della dinamica salariale non sara' sufficiente a stimolare la domanda di lavoro".
Ovviamente, questo è uno scenario che ben conosciamo, visto che non sono i normali cittadini ad avere posti garantiti con stipendi a 6 zeri! Per le persone le opportunità di lavoro sono sempre più rare, e tutto ciò grazie anche alle politiche mondialiste portate avanti da decenni proprio da questi profeti della mondializzazione, poco memori delle prediche pro-globalizzazione sbandierate da decenni di cui oggi vediamo gli squallidi risultati.
Ma i capitalisti apolidi vogliono di più. Altro che ‘crisi del capitalismo’! Qui siamo in piena espansione del turbocapitalismo vincitore!
Infatti, i Signori della BCE (organo indipendente e privato, ricordiamolo bene, che non deve accettare istruzioni né dai governi, né dalla stessa Unione Europea, né dal Parlamento europeo. Liberi da ogni interferenza democratica quindi…) sembrano più preoccupati di soddisfare i mercati finanziari che di porre obiettivi di benessere sociale ed economico e consigliano, in nome della ‘crescita’ e dell’’occupazione’, l'imposizione di "moderazione salariale" e "maggiore flessibilita'" del lavoro!!!
Non dazi sui prodotti che provengono da quindi per proteggere posti di lavoro e lavoratori, ma ‘cinesizzazione’ progressiva del sistema produttivo europeo!
Non sia mai che la BCE chieda limiti o sacrifici alle banche, alle assicurazioni, ai finanzieri globali o agli sfruttatori internazionali!

venerdì 9 luglio 2010

Decrescita, la via possibile

La Decrescita è un sistema economico ecologista, anticapitalista ed anticonsumista ideato da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della bioeconomia.
Criticata dai liberisti e dai marxisti, la Decrescita è basata su principi ecologici, più in generale biologici, in contrapposizione con quelli che regolano i sistemi vincolati alla crescita economica.
Ma non è solo un progetto economico! E prima di tutto un progetto politico radicale (ossia una visione alternativa di società futura) che punta a superare i modelli attualmente imposti (mondialismo, turbocapitalismo, crescita continua, ecc).
Come si è recentemente visto all’incontro tenutosi a Barcellona in marzo, la Decrescita é un movimento variegato composto da diverse anime che co-esistono: critica allo sviluppo e alla modernitá (Serge Latouche); semplicitá volontaria; ecologismo; aspirazione all’approfondimento e rilocalizzazione della democrazia; economia ecologica o bioeconomia; rivendicazioni per la giustizia sociale, economica e ambientale; crisi delle societá industriali: benessere, senso della vita e spiritualitá. Insomma, tendenze easpirazioni che condividiamo!
La diversitá intrinseca del movimento porta a una molteplicitá di strategie complementari e per lo piú coerenti. Viste le priorità emerse durante l'incontro, riteniamo interessante invitare a leggere questo articolo : L'ARCIPELAGO DELLA DECRESCITA (http://blog.libero.it/venegononews/8776330.html).

Decrescita: una possibile via per uscire dall'orrore del sistema capitalista, quindi.
Torneremo a parlarne molto presto...