Dalla Legge Treu in poi ((LN 196/97, c.d. “Pacchetto Treu”, governo Prodi, quindi sinistra), per i lavoratori la situazione è peggiorata fino ad arrivare ad assumere oggi le sembianze di una semi-schivitù.
I numeri parlano chiaro: se gran parte degli ingressi al lavoro si svolgono ormai con modalità precarie, succede sempre più spesso che la precarietà diventi una condizione nella quale si rimane intrappolati per anni (se non per sempre, come sta cominciando a verificarsi per molti). L’ultima indagine Ires (Rapporto maggio 2010) sul lavoro precario dà una stima dei soggetti interessati dalla instabilità occupazionale pari, nel 2008, a 3 milioni e mezzo circa di persone, di cui poco più di 1 milione e 800 mila donne (52%) e quasi 2 milioni di giovani e giovani-adulti fino a 34 anni d’età (56%).
La precarietà del lavoro diventa non più una caratteristica marginale e provvisoria, un connotato episodico o relegato alle fasce più giovani dei lavoratori, ma stigma PERMANENTE del nuovo capitalismo, della società del futuro, riversandosi inoltre non più solo in ambito lavorativo/economico, ma pure sociale, esistenziale, psicologico.
Di fatto la precarietà è una delle cause primarie delle ingiustizie sociali crescenti, dell’emergere anche in Europa di una società a caste, ormai saldamente basata su diseguaglianze estreme e sempre meno colmabili, in cui un certo numero di persone (i garantiti, gli intoccabili, gli amici-degli-amici) hanno tutti i diritti e grandi prospettive, mentre una fetta crescente di persone di tutte le età vengono gettate in un limbo fatto di ansia permanente, disorientamento, angoscia e disperazione inflessibile.
Di tutte le età?
Si, di tutte le età! Per riuscire a comprendere con chiarezza l’estrema pericolosità del fenomeno ‘precarietà’ (o ‘flessibilità’, come preferiscono dire nella neolingua liberista, che attraverso un uso deliberatamente distorto e improprio dei vocaboli in questione, genera confusione e malintesi, che contribuiscono all'interiorizzazione delle norme neoliberiste vessatorie e schiaviste da parte dei cittadini e dei lavoratori, determinandone in tal modo la passività per fare accettare tutte le ingiustizie e le prevaricazioni. Come in ‘1984’ di Orwell…) bisogna superare gli stereotipi diffusi dalla propaganda capitalista (che così cerca di alleggerire la dura concretezza del pericolo derivante PER TUTTI dal precariato): non sono solo i giovani e giovanissimi ad essere immersi nella palude della precarietà, della sotto-occupazione e della disoccupazione, ma pure numeri sempre più consistenti di 40-50enni che perdono il lavoro e, grazie ad una società in cui impera una sottocultura di stampo americanoide fatta di giovanilismo idiota e individualismo infantile e capriccioso, vengono di fatto scartati, emarginati, esclusi, rottamati! Restando però sempre tutti ‘a servizio del capitale’, pronti a tutto per riuscire a svolgere qualche misero lavoretto sottopagato, incapaci di resistere allo stato delle cose, al caporalato legalizzato di quello schifo che sono le agenzie di lavoro interinale, alla violenza di un sistema basato sullo sfruttamento e sul profitto di pochi.
Nel 2003 un giornalista americano, Bob Herbert, aveva pubblicato sul New York Times (qui rintracciabile l’originale: http://www.nytimes.com/2003/02/06/opinion/06HERB.html ) un articolo in cui mostrava i risultati di un indagine svolta un campione di giovani disoccupati di Chicago: nessuno degli intervistati sperava di trovare lavoro nei prossimi anni, nessuno di loro si aspettava di potersi ribellare o di poter avviare un grande Cambiamento collettivo. Il senso generale delle interviste era un sentimento di impotenza profonda. La percezione del declino non appariva focalizzata sulla politica (come sarebbe giusto, visto che è la politica che dovrebbe controllare l’economia), ma su cause più profonde, sullo scenario di un'involuzione psichica e sociale che sembra cancellare ogni possibilità di costruire alternativa.
è riuscita a modellare un sistema economico-giuridico che comprime e azzera sempre più i diritti dei lavoratori.
Insomma, flessibili e passivi, come schiavi. Ecco il risultato di anni e anni di egemonia del pensiero economico neoliberista, ideologia nefasta (pienamente assorbita anche dai partiti ‘di sinistra’, che anzi ne divengono spesso i più zelanti e feroci esecutori) e radice dei molti mali che affliggono ormai quasi tutto il mondo. Ah, la sublime bellezza della globalizzazione, del Turbocapitalismo e della competizione!
I numeri parlano chiaro: se gran parte degli ingressi al lavoro si svolgono ormai con modalità precarie, succede sempre più spesso che la precarietà diventi una condizione nella quale si rimane intrappolati per anni (se non per sempre, come sta cominciando a verificarsi per molti). L’ultima indagine Ires (Rapporto maggio 2010) sul lavoro precario dà una stima dei soggetti interessati dalla instabilità occupazionale pari, nel 2008, a 3 milioni e mezzo circa di persone, di cui poco più di 1 milione e 800 mila donne (52%) e quasi 2 milioni di giovani e giovani-adulti fino a 34 anni d’età (56%).
La precarietà del lavoro diventa non più una caratteristica marginale e provvisoria, un connotato episodico o relegato alle fasce più giovani dei lavoratori, ma stigma PERMANENTE del nuovo capitalismo, della società del futuro, riversandosi inoltre non più solo in ambito lavorativo/economico, ma pure sociale, esistenziale, psicologico.
Di fatto la precarietà è una delle cause primarie delle ingiustizie sociali crescenti, dell’emergere anche in Europa di una società a caste, ormai saldamente basata su diseguaglianze estreme e sempre meno colmabili, in cui un certo numero di persone (i garantiti, gli intoccabili, gli amici-degli-amici) hanno tutti i diritti e grandi prospettive, mentre una fetta crescente di persone di tutte le età vengono gettate in un limbo fatto di ansia permanente, disorientamento, angoscia e disperazione inflessibile.
Di tutte le età?
Si, di tutte le età! Per riuscire a comprendere con chiarezza l’estrema pericolosità del fenomeno ‘precarietà’ (o ‘flessibilità’, come preferiscono dire nella neolingua liberista, che attraverso un uso deliberatamente distorto e improprio dei vocaboli in questione, genera confusione e malintesi, che contribuiscono all'interiorizzazione delle norme neoliberiste vessatorie e schiaviste da parte dei cittadini e dei lavoratori, determinandone in tal modo la passività per fare accettare tutte le ingiustizie e le prevaricazioni. Come in ‘1984’ di Orwell…) bisogna superare gli stereotipi diffusi dalla propaganda capitalista (che così cerca di alleggerire la dura concretezza del pericolo derivante PER TUTTI dal precariato): non sono solo i giovani e giovanissimi ad essere immersi nella palude della precarietà, della sotto-occupazione e della disoccupazione, ma pure numeri sempre più consistenti di 40-50enni che perdono il lavoro e, grazie ad una società in cui impera una sottocultura di stampo americanoide fatta di giovanilismo idiota e individualismo infantile e capriccioso, vengono di fatto scartati, emarginati, esclusi, rottamati! Restando però sempre tutti ‘a servizio del capitale’, pronti a tutto per riuscire a svolgere qualche misero lavoretto sottopagato, incapaci di resistere allo stato delle cose, al caporalato legalizzato di quello schifo che sono le agenzie di lavoro interinale, alla violenza di un sistema basato sullo sfruttamento e sul profitto di pochi.
Nel 2003 un giornalista americano, Bob Herbert, aveva pubblicato sul New York Times (qui rintracciabile l’originale: http://www.nytimes.com/2003/02/06/opinion/06HERB.html ) un articolo in cui mostrava i risultati di un indagine svolta un campione di giovani disoccupati di Chicago: nessuno degli intervistati sperava di trovare lavoro nei prossimi anni, nessuno di loro si aspettava di potersi ribellare o di poter avviare un grande Cambiamento collettivo. Il senso generale delle interviste era un sentimento di impotenza profonda. La percezione del declino non appariva focalizzata sulla politica (come sarebbe giusto, visto che è la politica che dovrebbe controllare l’economia), ma su cause più profonde, sullo scenario di un'involuzione psichica e sociale che sembra cancellare ogni possibilità di costruire alternativa.
è riuscita a modellare un sistema economico-giuridico che comprime e azzera sempre più i diritti dei lavoratori.
Insomma, flessibili e passivi, come schiavi. Ecco il risultato di anni e anni di egemonia del pensiero economico neoliberista, ideologia nefasta (pienamente assorbita anche dai partiti ‘di sinistra’, che anzi ne divengono spesso i più zelanti e feroci esecutori) e radice dei molti mali che affliggono ormai quasi tutto il mondo. Ah, la sublime bellezza della globalizzazione, del Turbocapitalismo e della competizione!
Nessun commento:
Posta un commento